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Intemperanze fasciste

Agli avvenimenti di cui sopra si allacciano le intemperanze dei dirigenti fascisti locali operate nei confronti di mio padre e me personalmente. Siamo negli anni della guerra in Abissinia. Mio padre era fuori paese per l'acquisto di olive da lavorare nel nostro frantoio. Una mattina, in casa eravamo io e mia madre. Uno squillo di campanello segnalò la presenza di qualcuno. Io aprii la porta con circospezione. Due signori vestiti di nero con cappello entrarono senza chiedere permesso. Si rivolsero a mia madre chiedendo del marito. Alla risposta che era fuori paese sentenziarono: "Signora, ci risulta che suo marito non ha ancora comprato il calendario fascista. Vi diamo cinque giorni di tempo per provvedervi, altrimenti suo marito va al confino". Mio padre rientrò nei giorni concessi e provvide a comprare il calendario.

Io e la premilitare

Divenuto giovane avanguardista ero tenuto ogni sabato a partecipare alle istruzioni premilitari che si tengono nel campo sportivo del tempo ('43 - '44) La norna era che alle ore 14.00 di ogni sabato bisognava presentarsi in divisa in piazza per poi con fanfara in testa raggiungere il campo sportivo. Un sabato il treno di ritorno da Bari, dove frequentavo il liceo scientifico A. Scacchi fece ritardo. Dalla stazione cercai di raggiungere casa di corsa per vestirmi e contemporaneamente mangiucchiare qualcosa (allora in classe non si mangiava come oggi). In poche parole, giungo al campo da solo e mi aggrego al mio gruppo istruito militarmente dal calzolaio Giuseppe Schettini con casa e bottega in via S. Emilia, il quale si affrettò a segnalare al Centurione, il maestro Filippo Biancofiore (detto asso di coppe), il quale mi chiamò dinanzi a sè per chiedermi le ragioni del ritardo. Dissi che il treno era giunto a Noicàttaro in ritardo. Di corsa ho raggiunto casa e nell'indossare la divisa avevo mangiucchiato qualcosa per far fronte con forza alle esercitazioni. La risposta fu perentoria :" Tu dovevi solo vestirti e raggiungere subito gli altri quanto prima". Rispondere istintivamente fu presto fatto: " Ma Voi avete mangiato? E perché io non avrei dovuto?".
" Prima viene la Patria poi la pancia"! mi ribattè. Chiamò subito Giuseppe Ciavarella, il fac totum del fascio (detto bosck), e gli ordinò: "Accompagni questo indisciplinato in camera di sicurezza e che vi stia sino a quando lo deciderà il Segretario del Fascio!". Ciò avvenne senza che me ne rendessi conto per l'esercitata spontaneità reattiva nel rispondere. Le ore passavano. Si fece sera inoltrata. Mio padre si preoccupò non vedendomi tornare per le consuete ore della sera. Incominciò a chiedere a compagni ed amici sino ad arrivare al Ciavarella, il quale senza mezzi termini gli comunicò che per ordine del Centurione Biancofiore ero rinchiuso in camera di sicurezza. Comunque, papà riuscì a farmi venir fuori da quella situazione con una buona dose di rimproveri dovuti, ma certamente di convenienza. L'anno scolastico era giunto agli scrutini finali. Un pomeriggio appena tornato a casa, il Ciavarella venne a casa per comunicarmi che alle ore 18,00 il Segretario del Fascio (il dott. prof. Sebastiano Tagarelli aveva da comunicarmi cose molto importanti. Compresi subito di cosa si trattasse, (sospensione dalla scuola). Delle mie vicende scolastiche i miei non si sono mai interessati per ragioni dell'attività commercio - industriale svolta in casa. Alle ore 18.00 ero già dietro la porta del Segretario, al quale il Ciavarella comunicò la mia presenza. Appena mi concesse di accedere nello studio di costui, lo salutai fascisticamente. Al saluto seguì una secca domanda:"Gicomino, sei convinto di aver sbagliato?". "Certo"!, risposi (e chi avrebbe risposto diversamente? Era in gioco lo scrutinio di fine d'anno scolastico). Ed allora il Segretario di rimando: "Bene ed allora,invece, di sospenderti dalla scuola per un mese, ti sospendo per tre giorni". Ringraziai e con il saluto fascista lasciai la sede del segretariato fascista. L'indomani mi presentai regolarmente a scuola e comunicai al Preside, di cui ricordo solo il cognome " Longo", originario della Sicilia, il quale mi trattava come un suo figlio. Il giorno seguente fui chiamato in presidenza ed il Preside mi comunicò di aver ricevuto la comunicazione ufficiale della sospensione per tre giorni. Alle mie preoccupazioni per lo scrutinio mi rispose: "Giacomino, per tre giorni stattene tranquillamente a casa, allo scrutinio ci penso io. Sapessi, caro Giacomino come odio questa divisa,ma non posso togliermela altrimenti perdo il pane per la mia famiglia. Arrivederci a presto".
L'ironia della sorte è sempre in agguato. A Waimar, in Germania si doveva tenere un incontro di studi sul Fascismo tra giovani avanguardisti italiani e tedeschi. Da Noicattaro venne segnalato al Preside il mio nome. Gli eventi bellici non permisero che detto incontro si effettuasse.