indietroavanti

 

LETTURE

1. Chiamiamolo Corso Ferdinando II
Il Presidente della Provincia boccia Vittorio Emanuele

La proposta è interessante: cambiare nome al corso Vittorio Emanuele II restituendogli la vecchia denominazione di "Corso re Ferdinando II di Borbone", re antiliberale per eccellenza.
La proposta, chi l'avrebbe detto, è del Presidente della Provincia, Franco Sorrentino che, in una lettera al sindaco Di Cagno Abbrescia sostiene che «non ha nulla in contro Vittorio Emanuele, ma che si tratta solo del desiderio di rispettare i fatti e le cose di un tempo non molto lontano. Infatti, il corso per sedicato a l re Ferdinando II a seguito della sua venuta a Bari per assistere al matrimonio di suo figlio Francesco con Sofia di Baviera. La popolazione barese - ricorda Sorrentino - tripudiò per le nozze dell'erede al trono con la sposa Bavarese».

 Le motivazioni e la ricostruzione storica non fanno una piega .La richiesta è legittima in un momento di revisione storica dei fatti che portano all'unità d'Italia ed è analoga alle richieste del movimento neoborbonico, diretto a Napoli da Silvio Vitale. Una riappropriazione della memoria e della cultura meridionali I Savoia, che occuparono il Sud con le truppe piemontesi erano monarchici" liberali" (Monarchia Costituzionale) mentre i Borboni erano monarchici "per volontà divina" (Monarchia tradizionale).
Alla proposta di Sorrentino non sono mancati gli echi: «corso Vittorio Emanuele non si tocca: Sorrentino si dimetta» afferma un comunicato del Comitato provinciale della Federazione monarchica italiana. Si chiedono i neo monarchici(quelli di fede savoiarda):
«la campagna denigratoria scatenata da Bossi e dai neoborbonici contro il Risorgimento e l'Unità d'Italia da questo realizzata, rischia di aggravare la crisi della nostra identità nazionale e di creare seri problemi all'unità della nostra stessa Patria ».
Infine Maurizio Dolce, coordinatore provinciale del movimento, invita «tutti i cittadini, senza distinzioni, affinché impegnino i propri rappresentanti a difendere l'unità d'Italia». Insomma, solo la nazionale di calcio, forse, riesce ad accendere tanto gli animi.

MANLIO TRIGGIANI

(Cfr. La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 novembre 1996, pag. 27)

2. E Ferdinando II arrivò a Bari...

Il Presidente della Provincia Franco Sorrentino, vuole dunque cambiare nome a corso Vittorio Emanuele II e riportarlo a quello suo originale corso Ferdinando II. Perché, spiega questa strada fu dedicata al Borbone a seguito della sua venuta a Bari per assistere al matrimonio si suo figlio Francesco con Sofia di Baviera.
Ma le cose secondo gli storici, non stanno proprio così. Quando il sovrano Ferdinando II di Borbone venne in visita a Bari il 27 gennaio 1859 (e vi rimase sia al 7 marzo successivo) per riceversi la duchessa Maria Sofia di Baviera, promessa sposa del principe ereditario Francesco, quell'importante arteria della nostra città già si chiamava Corso Ferdinandeo.
La conferma la troviamo nella ponderosa opera "Le strade di Bari", dello storico barese Vito Antonio Melchiorre, che a proposito di questa strada racconta che fu intitolata a re Ferdinando II, salito al trono delle due Sicilie nell'anno 1830, intorno al 1850.
E il sovrano rimase sicuramente lusingato da tale prova di affetto perché nel 1852, allorché la consorte Maria Teresa mise alla luce il principino Pasquale Maria, si degnò conferire all'augusto infante il titolo di Conte di Bari.
Ma solo, in previsione della sua venuta nella nostra città nel 1859, in data 3 febbraio dello stesso anno emanò un decreto per provvedere all'abbellimento di Bari, dedicando particolare attenzione al corso Ferdinandeo.
L'occasione è propizia anche per riscoprire le origini di questa grande strada, che va dal teatro Margherita a piazza Garibaldi. e costituisce per lungo tratto una linea di demarcazione tra il borgo antico e quello murattiano. «Un ideale punto d'incontro - scrive Vito A. Melchiorre - fra il passato e il presente». Ed appunto nel passato questa strada fu con molta probabilità e per la durata di vari secoli, un'arteria extra urbana che costeggiava le mura della città e il fossato antistante.
Melchiorre scrive che al principio dell'Ottocento quella via era molto frequentata dalle persone, che a piedi, a cavallo o in vettura entravano ed uscivano dalle due porte di Bari. Il traffico (anche a quei tempi ; un male antico!) era piuttosto intenso e, alle volte, qualche individuo, animale o veicolo andava a finire dalla strada nel fossato, non protetto da alcun argine o steccato.
Quel fossato era di proprietà della famiglia Gironda e il Comune, proprio per evitare inconvenienti, decise di acquistarlo e nel 1815 spese la somma di 800 ducati. Fece colmare il fossato, demolì la muraglia e ne ricavò, intorno al 1820, «quel bel viale alberato, del quale rimane oggi un vago ricordo nelle poche piante tisiche e squallide aiuole che lo ingombrano, senza affatto, adornarlo», conclude a giusta ragione lo storico barese.

LIBORIO LOIACONO

(Cfr. La Gazzetta del Mezzogiorno dell'11 novembre 1996, p.17)

3. D'accordo col corso Re Ferdinando II, vi dico perché

Il Presidente della Provincia di Bari Sorrentino, ha proposto di ripristinare la denominazione «corso Re Ferdinando II di Borbone» al corso Vittorio Emanuele II: la condivido. Tale denominazione non attenta all'unità nazionale ma riporta solo nell'ambito della storia delle nostre regioni del Mezzogiorno una realtà storica.
Dopo la conquista del nostro mezzogiorno da parte dell'esercito sabaudo, la nostra unità si è andata man mano consolidando: a tal fine un evento di grande rilievo fu la prima guerra - a carattere europeo - del '15 - 15 (peraltro rifiutata da larghi strati della popolazione come i seguaci del Psi), quando i nostri contadini andarono al fronte per difendere regioni del Nord - Est italiano, che essi non conoscevano, ma facevano parte dell'Italia e morirono sul Carso, sul Piave sino alla vittoriosa conclusione a Vittorio Veneto.
Si è avuto, poi, il ventennio fascista, con uno Stato centralizzato, dittatoriale, che ha consolidato l'unità nazionale e, in un certo senso, ha determinato una qualche equa distribuzione della nostra economia. Dopo l'infausta seconda guerra - a carattere mondiale - tornata l'Italia ad essere nazione indipendente, lo Stato venne incontro al Mezzogiorno con economia sempre più debole con la Cassa del Mezzogiorno; soppressa la Cassa, nessun altro provvedimento è stato preso dallo Stato per il Mezzogiorno e quindi la disoccupazione innesca la mafia, camorra, 'drangheta, corona unita!
Vi sono, alcuni, orgogliosi della loro florida economia che vorrebbero distaccare il loro ambito territoriale dall'Italia, inficiandone l'Unità! Eppure nel periodo borbonico nelle regioni meridionali l'economia era alla pari delle altre regioni italiane e così la vita. Ecco perché condivido la proposta di Franco Sorrentino.

Vitatantonio Lozuppone

(Cfr. La Gazzetta del Mezzogiorno del 15 novembre 1996, p.22)

4. Corso Vittorio a Bari: cambiamo il nome, ridiamo dignità al Sud

Credo ormai non sia più una novità storica che nel 1860 un intero paese con costumi, leggi e tradizioni proprie da sette secoli, dall'unificazione voluta da Ruggero il Normanno, fu militarmente conquistato ed annesso al Piemonte- D'altra parte i vincitori in quanto tali non si sono nemmeno peritati di masacherare questo avvenimento. Infatti, nei testi scolastici si parla sempre e comunque di annessione al Regno delle Due Sicilie e lo stesso Vittorio Emanuele I re d'Italia, ma preferì, perché intimamente convinto che di conquista si trattasse, rimanere II di Sardegna.
Tutto questo non vuole minimamente ridiscutere l'unità di questo paese ma soltanto ridare dignità e orgoglio al Sud ed ai suoi abitanti ritrovando la loro memoria e non quella imposta da altri. Il malvezzo di cancellare i nomi di strade, di abbattere stemmi e lapidi, fu purtroppo soltanto sabaude fu una caratteristica spietata e costante in tutto il territorio meridionale.
Mai un Borbone pensò di cancellare i ricordi della presenza austriaca, né a Napoli né altrove, per il semplice motivo che civiltà imponeva il ricordo di tutta la memoria storica del regno e non a caso gli almanacchi reali venivano riportati come re cronologicamente tutti quelli che si erano succeduti sul trono, da Ruggero il Normanno fino all'imperatore d'Austria. Civiltà imponeva anche che un monarchia che aveva reso indipendente prospero il Regno non avesse paura del passato.
Probabilmente i padri della Patria italiana ebbero paura del passato del Sud e cercarono in tuttii modi di cancellarlo. Non a caso a Modena esiste la Galleria Estense ed a Napoli non esiste più il Real Museo borbonico, ma semplicemente ed anonimamente il Museo Nazionale. Ferdinando II volle la costruzione d'imponente arteria di Bari ma intitolata a Vittorio Emanuele per dare lustro ad una città che in pieno sviluppo economico e sociale meritava un'urbanistica degna di questo nome. Si costruì così il grandioso palazzo dell'Intendenza ora Prefettura, si costruì il teatro Piccinni ed infine il grandioso nuovo porto, capolavoro d'ingegneria per l'epoca. Tutte opere che furono realizzate con i proventi di quel fisco equo e leggero che imponeva soltanto a chi possedeva, al contrario di ciò che avvenne dopo l'unità.
In terra di Bari la solidarietà dello Stato borbonico aveva fatto nascere venti ospedali in altrettante città della Provincia, cinque grandi orfanotrofi, consiglio tutti di andare a vedere quello di Bitonto intitolato a Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II, unico nome salvatosi dalla cancellazione per il cognome che portava da nubile. Ed ancora il porto di Molfetta e di Brindisi, la creazione aspese dello Stato del Comune di San Ferdinando di Puglia, nato per salvare gli abitanti dalle malattie legate all'estrazione del sale, e centinaia di monti frumentarii e di maritaggio, sorta di piccole banche di solidarietà, poi cancellate dal governo post unitario.
Comunque ringrazio il presidente della Provincia di Bari per l'atto di coraggio nel proporre di intitolare corso Ferdinando II la strada. Lo ringrazio da meridionale e da italiano per aver tentato di restituire ai pugliesi ed ai meridionali in genere quell'orgoglio per un passato che non è cominciato con Garibaldi, Mazzini e Camillo Benso conte di Cavour ma molto tempo prima con una dinastia nata e cresciuta al Sud.

Roberto Selvaggi,
Napoli

(Cfr.La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 novembre 1996)