1. L'interpretazione del Du Cange
È opinione comune, tra gli scrittori locali alla ricerca di
prove che suffraghino la tradizione popolare nojana, che il toponimo
Noa, e quindi Noja, abbia voluto significare una terra o città "Nuova",
in contrapposizione ad una "Vecchia", abbandonata o distrutta in precedenza
[3]. Ma questa tesi non coincide affatto con la rigorosa
analisi semantica del termine latino-medioevale fatta dal Du CANGE
(1610-1668), per il quale significa semplicemente «terreno irriguo
lavorato di fresco, coltivato a maggese»
[4]. Tale interpretazione è condivisa sostanzialmente dal
COLELLA e dall'OLIVIERI [5],
mentre è biasimata dal MOREA, perché giudicata offensiva e non rispondente
alle effettive caratteristiche territoriali del piccolo Comune rurale
da lui rilevate al principio del secolo scorso [6].
Quella del Du CANGE, sicuramente mal interpretata dal MOREA, è solo
un'analisi prettamente filologica del termine basso-latino, fuori
da ogni contesto storico particolare, per cui la sua è da ritenersi
solo una pura valutazione linguistica, che però considero validissima
ai fini della mia ricerca. Eppoi l'istintiva obbiezione del MOREA
non trova riscontro di fronte alle reali caratteristiche morfologiche
del territorio agricolo nojano, che invece ritengo pienamente rispondenti
all'interpretazione semantica data dal DU CANGE. L'espressione «terreno
irriguo lavorato di fresco, coltivato a maggese» ben si addiceva ancora,
fino alla prima metà di questo secolo, all'agro di Noicàttaro, perché
si trattava propriamente di terreni non sottoposti a pratiche irrigue,
interessati dalla presenza di acque superficiali e da fenomeni di
paludosità e continuamente rinnovati, cioè ogni volta dissodati come
se fosse la prima volta, dopo l' annuale periodo di "riposo" colturale
imposto dalla pratica del maggese [7],
che indirettamente favoriva anche le attività pastorali.
E' chiaro che le due grandi lame che attraversano tutto il territorio,
stringendo a tenaglia il centro abitato, almeno fino a qualche decennio
fa, avevano un aspetto completamente diverso da quello attuale a causa
dell'acqua piovana che vi ristagnava per buona parte dell'anno. Oggi,
infatti, sono a secco e occupate da varie colture, dopo la recente
costruzione del grande canale deviatore nei pressi di Gioia del Colle
(1945-50), che è servito soprattutto a contenere gli ingenti danni
procurati di frequente alle campagne e ai siti urbani dal passaggio
delle acque alluvionali. In passato, nei periodi di più intense piogge
(particolarmente quello invernale), spesso le lame, alimentate dalle
acque provenienti dalle alture retrostanti, straripavano rendendo
possibili in diversi punti dell'agro, specialmente là dove era accentuata
la natura argillosa del terreno, tanti piccoli fenomeni acquitrinosi.
Molti anziani raccontano di alcune disastrose mene d' inizio secolo,
che procurarono non pochi danni all'arredo interno della seicentesca
Chiesa di S. Maria della Lama costruita proprio sul ciglio della lama
ponentina, nel tratto denominato "Lama Paradiso", il più vicino al
paese. Anch'io ricordo una violentissima mena verificatasi intorno
al 31-32, la quale, dirigendosi verso la foce con vorticosità spaventosa
e un boato (nel gergo nojano: d-rrùsc-n), aveva superato i limiti
del ponte stradale nei pressi della stessa chiesa, invadendo l'assetto
stradale e la campagna circostante e provocando non pochi morti, tra
animali e persone, rinvenuti poi alla foce in località S. Giorgio
insieme a moltissimi alberi divelti e ad una gran quantità dì ciottoli
trasportati da monte, oltre a svariati oggetti agricoli e casalinghi.
Presso l'Archivio del Municipio di Noicàttaro ho trovato un atto risalente
al 1924, che parla dell'incarico di redigere un progetto dì sistemazione
della foce della lama di levante (recentemente denominata "Lama Giotta")
affidato dal Comune al geometra locale Francesco Sciannameo (1877-1939).
L'intervento si rendeva necessario per eliminare la duna formatasi
sulla battigia per il continuo accumulo di detriti alluvionali, poiché
impediva il naturale sbocco nel mare delle acque torrenziali. Queste
peculiari caratteristiche dell'agro nojano hanno certamente favorito
in passato l'affermazione dei seminativi, in cui primeggiavano la
cerealicoltura e la coltivazione del lino e del cotone (bambagia),
assai abbisognevoli di terreni umidi ovvero di acqua irrigua. Intorno
alla produzione delle due piante tessili girava in paese una fiorente
attività artigiana, che, grazie all'intraprendenza di Vito Grazio
Antonelli (1679-1746), che operava nel settore fin dai primi decenni
del XVIII secolo [8]
, aveva un discreto sbocco commerciale. Spesso il Comune era intervenuto
in materia a regolarne la coltivazione e la commercializzazione, nonché
a indicare, per motivi igenico-sanitari, alcune conche naturali sulla
vicina spiaggia di Torre Pelosa per la macerazione del lino [9].
Sono convinto che quasi tutti i casali o ville sorti nel periodo medioevale
sotto il nome di Noa (e suoi derivati) abbiano assunto tale denominazione
per le caratteristiche morfologiche del territorio occupato, che doveva
essere costituito da terreni particolarmente umidi e grassi e perciò
idonei allo sviluppo delle attività agricole e pastorali [10].
Se, come taluni storici locali affermano, il toponimo Noa significò
la costruzione di una "Città nuova", in contrapposizione alla vecchia
Càttaro non più esistente, come mai, allora, i profughi cattaresi
non avrebbero ritenuto opportuno di meglio specificare il semplice
aggettivo qualificativo "Nuova", com'è comune consuetudine in questi
casi, aggiungendovi il nome della città dorigine scomparsa, onde perpetuarne
il ricordo storico? Basta sfogliare l'elenco dei Comuni italiani per
rendersi conto come il termine Nova (Nuova, Novi, ecc.) è quasi sempre
accompagnato alla denominazione più antica (vedi Novalesa, Noviligure,
Novasíri, Villanova, Orta Nova, Giulianova ecc.). Eppoi non dice la
leggenda nojana che alcuni profughi della distrutta Càttaro peucetica
si sarebbero, portati sulla opposta sponda dalmata a fondare un città
di nome "uguale" a quella lasciata in patria? Se ciò fosse veramente
avvenuto, sulla costa dalmata sarebbe dovuta sorgere una "Nuova" Càttaro,
come generalmente avviene in questi casi. La questione rimane tuttora
aperta.
Note
[3]
Cfr. V. ROPPO, op. cit. pp. 80 e segg.
[4]
Cfr. C. DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Graz (Austria),
Akademiscke Druck - U Verlagsanstalt 1954, p. 595: voce "Noja".
[5]
Il COLELLA così spiega: «Noja (forma arcaica di Noya) è da novia
(terra), cioè "terreno dissodato di fresco"» (G. COLELLA, op.
cit., p. 401). L'OlLIVIERI così puntualizza:« La base deve essere
appunto il lat. nova diversa da quella, da cui si ebbe il francese
noue, che pure designa anch'esso terreni da pascolo acquitrinosi».
(Cfr. D. OLIVIERI, op. cit., p. 386).
[6]
Cfr. V. MOREA, Storia della peste di Noja, Napoli, Tip. Trani 1817,
p. XXVIII (Introduzione).
[7]
La pratica agricola del "maggese", che consiste nel riposo annuale
del terreno coltivato e sfruttato da colture particolarmente esigenti
di acqua irrigua e di sostanze minerali, in passato era diffusamente
praticata su tutto il territorio nojano. L'avvento nel nostro secolo
dei pozzi artesiani (anni '50) e delle moderne tecniche agricole (prima,
all'infuori dello stallatico, non si conosceva altra proficua tecnica
di concimazione) l'ha fatta scomparire totalmente, determinando, nel
contempo, la trasformazione agraria del territorio nojano a vantaggio
dei vigneti specializzati a "tendone".
[8]
Cfr. A. ANTONELLI, L'emblematico cammino di una famiglia in Puglia,
Fasano, Schena 1991, pp. 95 e segg. I tessuti realizzati a Noja in
privato da esperte tessitrici ai vecchi telai per conto di Vito Grazio
Antonelli erano commercializzati particolarmente nel capoluogo dauno.
Il ROPPO dice che le tele nojane erano apprezzate e richieste in tutta
la nostra Penisola (Cfr. V. Roppo, op. cit., p. 23). Se diamo uno
sguardo ai registri dei matrimoni e alle carte-capitolo notarili relative
al periodo 1550 - 1800 conservati nei vari archivi locali, notiamo
che sovente per le donne ricorre la professione di "filatrice" o di
"tessitrice".
[9]
Si consultino le Delibere Comunali relative al periodo 1845-60.
[10]
Cfr. G. COLELLA, op. cit., p. 475: «Noa e Novium nel basso lat.
significò "terreno grasso e palustre" adatto all'uso di pascoli: fr.
antico, Noue ».
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